Mi sembra un po’ confusa la posizione dell’antropologa, da un lato dice di rispettare in quanto antropologa le visioni del mondo e del cibo di culture lontane dalla sua, poi si autorizza a descrivere gruppi di persone che mette dentro a delle categorie etichettandole addirittura usando linguaggio psicopatologico, se ne sta forse preoccupando in quanto detentrice di saggezza antropologica? Queste povere persone che invece di andare a messa si trovano a rimuginare di fronte a un piatto? Il rapporto con il cibo è un fenomeno estremamente più complesso e non si risolve con delle facili etichette. La realtà non si può solo osservare ma è importante anche interpretarla in una condivisione collettiva che permetta di ridurre gli errori e i fanatismi per avvicinarsi a un’analisi che sia il più possibile costruttiva della realtà in cui viviamo. Quindi ad esempio dobbiamo semplicemente limitarci ad osservare chi costruisce ideologie intorno al concetto di purezza? Abbiamo visto quale conseguenza aberranti porta l’idea di purezza. Forse dovremmo discuterne con umiltà, apertura senza rinunciare al senso critico
@simonettadanesi53673 ай бұрын
Io ho ospitato una mia amica ebrea osservante, ma non ha voluto la carne della macelleria halal presente a Pistoia perché mi ha detto che kosher e halal non sono la stessa cosa.