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La Storia figlia della Memoria
I Greci avevano identificato la memoria in Mnemosýne, una delle figlie di Urano e di Gaia, rispettivamente la personificazione del Cielo e della Terra. Amata con l’inganno per nove notti consecutive da Zeus, astutamente travestitosi da pastore, dette alla luce altrettante figlie, le Muse, accomunate etimologicamente alla madre dalla radice *men, presente sia nel verbo µιµνήσκω, "ricordarsi", che in µανθάνω, "apprendere".
Metafore mitiche del canto, della poesia e, in senso più lato, di tutte le “arti”, le Muse cambiarono più volte nel tempo numero e attributi, finché non si decise di rendere canoniche le nove menzionate da Esiodo.
Clio, musa dell’epica, colei che rende celebri col suo canto, divenne dunque tra le altre la personificazione della Storia, raffigurata con l’attributo di una pergamena in mano, spesso srotolata.
I Romani assimilarono il culto delle Muse greche con quello delle Camene, divinità delle sorgenti, la cui etimologia parimenti sembra doversi ricondurre al concetto di “canto”, “inno” o “preghiera”, come appare dal nome di una delle quattro ninfe, Carmenta, fondato palesemente sul termine latino “carmen”, canto.
Le quattro dee, in origine protettrici del focolare domestico e del parto (cui si dedicavano in particolare Antevorta e Postvorta, rispettivamente "colei che guarda avanti" e "colei che guarda indietro"), erano venerate sin da epoca remotissima in un santuario posto non lontano dall’antica porta Capena, presso un bosco sacro spesso identificato con l’odierna Valle della Caffarella, dove ancora oggi una grotta e una fonte portano il nome della più celebre delle ninfe, Egeria.
Come raccontavano diverse leggende, fu proprio quest’ultima a guidare Numa Pompilio e a ispirarlo nella definizione di quelle leggi e di quelle norme religiose che avrebbero regolato la vita di Roma fino alla fine del paganesimo, per poi in parte sopravvivere e riaffiorare nella tradizione cristiana.
Per queste e molte altre ragioni abbiamo dunque pensato di celebrare la giornata della memoria con un oggetto che può ben interpretare tale concetto, uno scudo che una analisi molto accurata ha consentito alcuni decenni fa di assimilare all’ancile che la tradizione romana diceva essere caduto dal cielo al tempo di Numa Pompilio. E fu proprio su suggerimento di Egeria che il religiosissimo re ne avrebbe fatto un pegno della futura fortuna di Roma.
Dietro questo racconto vi è la forza della memoria cristallizzata in un simbolo.
Quella memoria che andrebbe sempre custodita e trasmessa. Quella memoria che viene posta al centro della giornata del 27 gennaio per non dimenticare una tragedia che ha travolto un popolo con la violenza caratteristica di molte ideologie che, proprio nei simboli, spesso cercano un movente per giustificare le proprie azioni, sia esso l’antico simbolo solare della svastica oppure quello del potere romano esemplificato dal fascio littorio.
Dietro tutto questo vi sono concetti importanti e potenti come quello di "memoria collettiva", coniato negli anni ’20 del Novecento da Maurice Halbwachs, e quello più recente di "memoria culturale", coniato da Jan Assmann, ovvero “un deposito di informazioni al quale uno specifico gruppo può attingere per derivare il suo spirito collettivo di appartenenza”. Ma le cose assumono a questo punto tratti molto complessi sui quali non è il caso forse di soffermarsi in un modesto post di facebook.
Lasciamo quindi, per chi lo vuole, spazio al racconto, cercando di riflettere sulle radici profonde e sul senso della memoria che pervade o dovrebbe pervadere sempre tutta la nostra esistenza, per consentirci di continuare ad “apprendere” attraverso il “ricordo” in tutte le sue forme.
Perché la Storia, dopo tutto, sarà e rimarrà sempre figlia della Memoria.
Per spiegare questo concetto il Direttore Valentino Nizzo presenta l'eccezionale corredo della tomba 1036 di Casale del Fosso