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Il 29 marzo 2022 il sociologo Nicola Ferrigni è stato udito in Senato nell'ambito delle Commissioni congiunte "Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale" e "Politiche dell'Unione Europea" in merito all'esame dell'atto COM (2021) 762 relativo alla Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio "sul miglioramento delle condizioni di lavoro mediante piattaforme digitali".
-- Il testo completo della relazione è consultabile sul sito del Senato della Repubblica, al seguente link: bit.ly/3Shl7MX --
Nella sua audizione il sociologo ha portato all'attenzione delle Commissioni una serie di spunti di riflessione, di natura sociologica, fondati sulle evidenze empiriche derivanti da un suo recente lavoro di ricerca che ha avuto specificamente ad oggetto la figura del rider.
La ricerca è stata finalizzata a indagare opinioni, percezioni, grado di soddisfazione dei rider in relazione alla propria attività lavorativa, nonché il loro livello di condivisione rispetto proprio alla recente proposta di Direttiva europea che ne propone l'inquadramento contrattuale in qualità di lavoratori subordinati.
Il dato più “vistoso” che emerge dalla ricerca riguarda l’elevata percentuale di rider intervistati (pari al 68,4%) che si esprime negativamente rispetto alla proposta di direttiva: l’attività del rider si costruisce infatti attorno al valore identitario e non negoziabile della libertà (il 44,2% degli intervistati associa il proprio lavoro proprio alla parola “libertà”, il 27,1% a “indipendenza”), che significa gestione autonoma e flessibile del rapporto tempo/guadagno, e dunque in contrasto con la rigidità (reale e/o percepita) del lavoro subordinato. A conferma di ciò, è interessante rimarcare come i rider motivino il proprio tale rifiuto richiamando principalmente la paura di perdere la propria autonomia (35,6%) e di non poter gestire autonomamente il rapporto tra lavoro e guadagno (31,7%), per non dire di quegli intervistati (15,9%) a detta dei quali si tratta di una soluzione che andrebbe a snaturare il lavoro del rider.
Assumendo infatti la prospettiva del rider, questa temuta precarietà si trasforma invece, per i giovanissimi rider, in transitorietà (racchiusa nel fatto che nella maggioranza dei casi non viene percepito come “il lavoro della vita”), mentre per i “diversamente giovani” essa diventa sinonimo di funzionalità (nel senso che tale attività consente di ovviare a una situazione di difficoltà lavorativa).
L’auspicio è quello del riconoscimento di una tutela “adattabile”, modulata cioè sulle esigenze dei lavoratori, eventualmente esplorando anche soluzioni intermedie che possano prescindere dal binomio autonomia/subordinazione.