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Era il 2011, ero a Parigi da due anni. Il francese lo scrivevo discretamente ma lo parlavo ancora male e i francesi non li capivo. E li conoscevo ancora poco, pochissimo. Io a Parigi ero andato anche nel tentativo di perseguire il mio desiderio di fare cinema. “A Parigi le produzioni ti leggono e ti rispondono, mica come in Italia” mi dicevano. E allora scrissi la sceneggiatura di un cortometraggio e la mandai a decine di produzioni. E davvero mi risposero. Quasi tutte. Tutte accompagnate da “grazie, non ci interessa”. E così, come sempre, come ancora oggi, ho fatto da solo. I mesi tra la preparazione e l’inizio delle riprese, sono stati il periodo più buio della mia vita a Parigi - e non solo - tra paure e ospedali accompagnando chi mi stava accanto. Periodo che è giusto che resti in un rispettoso silenzio. Però, per farci due risate, io ero talmente stressato che quando arrivò il momento di andare sul set ero divorato da delle cazzo di ragadi mostruose tra le chiappe. I dottori dicevano che ero sull’orlo dell’operazione. Fatto sta che se vedrete questo corto, sappiate che mentre recitavo ero imbottito di antidolorifici e avevo il culo in fiamme.
Senza produzione tirai su una squadra di giovani francesi trovati su un sito che riunisce mestieranti del settore. La mia prima volta a stretto contatto con lo straniero fu drammatica. I cinque giorni di set furono un incubo, non solo per il culo dolorante, ma soprattutto per l’insopportabile arroganza e impreparazione delle ragazze che avrebbero dovuto ricoprire i ruoli di aiuto e assistente alla regia.
Ancora non mi capacito di come si sia comunque riusciti a chiudere il lavoro. “In Francia se non ti accompagna una distribuzione, il corto non te lo seleziona nessun Festival” mi dicevano tutti. Ma io non ci credevo, insomma in Italia i miei corti, anche da me spediti con letterina scritta a mano, qua e là, capitava venissero selezionati. Questo effettivamente non venne selezionato manco dalla rassegna della parrocchia sotto casa. Insomma non mi sorprende se non lo ho più voluto vedere per anni, rimuovendolo quasi dalla mia memoria artistica e umana.
Ora però lo rendo pubblico perché è comunque un documento interessante e, nel rivederlo dopo tanto tempo, mi ha impressionato per diversi motivi, personali e artistici.
Intanto non è una commedia, anzi, è un dramma da camera, tipico di quello che facevo in quel periodo, e vedere me alle prese coi francesi, dopo Ritals, lascia perennemente la sensazione che prima o poi sbotterò con insulti e prese per il culo. Invece no. Poi, al netto di una mia chioma ridicola e di alcune imperfezioni, soprattutto nei raccordi della prima parte, sono scioccato da alcune caratteristiche stilistiche. Su tutte il ritmo, i tempi. Dopo anni di video frenetici come se ne fanno ormai sia su internet che in televisione o al cinema, vedere le pause, i silenzi, nei dialoghi interminabili mi fanno venire il dubbio “sarei mai capace di ritrovare il coraggio di fare una cosa simile oggi?”. Per non parlare del non detto, di tutta la narrazione che resta fuori o è appena accennata. E poi i personaggi femminili! Possibile che tutte quelle ragazze recitino battute scritte da me? Persino una bambina. No, non è possibile, parafrasando Nanni Moretti, “io non so mai cosa far dire ai personaggi femminili”.
Per chiudere, questo lavoro è comunque strettamente legato con la nascita di Ritals. Poco dopo averlo girato, lo feci vedere a un mio collega del call center dove lavoravo. A lui piacque talmente tanto che incominciò ad assillarmi perché girassi qualcosa di nuovo con lui come attore. Lui che non era un attore. Ma io no, non avevo nessuna voglia di rimettermi a fare roba del genere, troppe delusioni e ancora fresco il bruciore nel culo. Ma lui non demorse e dopo qualche tempo si ritrovò protagonista accanto a me in quel duo comico di espatriati italiani a Parigi.
P.s. che all’epoca del corto io i francesi non li conoscessi per niente lo dimostra il fatto che nessuno si fa la bise.