Domenica 8 Luglio, l’Azienda Agricola Zanon Livio e Figli, con sede nel Comune di Mirano (VE), ha organizzato la Festa dell’Aratura e della Trebbiatura con mezzi ed attrezzature storiche.
Una splendida giornata di sole ha accompagnato quello che, per secoli, si è perpetrato scandito dall’orologio delle stagioni. Un nutrito gruppo di appassionati di trattori d’epoca, recuperati dall’oblio, restaurati e riportati alle condizioni, se non originali, molto prossime alle stesse si è dato appuntamento presso l’azienda.
Landini, Super Landini, ma non solo, anche FIAT, dal classico colore arancione sgargiante, ed OTO, e molti altri ancora, oltre che a pezzi unici ed ad esemplari provenienti da oltre oceano, rigorosamente Made in USA.
Quello che colpisce subito, al di là della semplice forza bruta di cui questi possenti trattori sono capaci, è l’amore e la dedizione dei moltissimi estimatori; il loro rombo, sordo, ritmato e sincopato, monocilindrico, sembra un metronomo che accompagna il ritmo cardiaco. Quando ci si siede sul sedile, una vibrazione a bassa frequenza attraversa il corpo, al regime minimo, se si riuscisse a trascurare per un attimo il rumore prodotto, si ha l’impressione di essere quasi “cullati” dal movimento di quel singolo pistone.
Quei trattori, quei vomeri a loro agganciati, tutti in fila, una sorta di caravanserraglio pronto ad aggredire il terreno, a rivoltare generose zolle di terra; il sudore che imperla le fronti a fare da collante naturale tra l’uomo e quella distesa di natura che, con fatica, tenta di addomesticare ai propri bisogni.
Forse, più che una festa, più che una rappresentazione ad uso e consumo dei moltissimi visitatori convenuti, quello che ho visto è un saggio di altruismo, in qualche maniera, una “convention” dove genti provenienti da aziende vicine, si riunisce per dare una mano, per darsi una mano, per completare il lavoro nello stretto spazio temporale concesso dalla meteorologia.
Il prete del paese che viene a benedire uomini e mezzi, un rito dal sapore ancestrale, ma che non è una messa in scena; i cappelli, di paglia, in mano, tutti a capo scoperto ad ascoltare le parole di Don Luciano Minetto e poi di nuovo “in sella”, di nuovo in fila, di nuovo i vomeri lucidati dalla terra che ne spezzano la stagionale compattezza.
Il tempo è scandito dall’arco disegnato in cielo dal nostro astro, e dal suono penetrante delle campane del non troppo lontano campanile. Quasi per magia quel rombo possente fatto di tanti rombi altrettanto possenti, cessa, ammutolisce; ed è subito un silenzio quasi irreale dopo quella mole di frastuono.
Si va tutti a pranzo, tutti assieme, su tavole lunghissime sistemate all’interno di un enorme capannone usato per il ricovero delle macchine e degli attrezzi.
La musica di una fisarmonica accompagna l’incedere delle vettovaglie, si parla, si ride, si sta in compagnia; per il tempo necessario a consumare il pasto, l’attenzione ad ottenere un solco diritto viene messa momentaneamente da parte.
Un intermezzo, una cerimonia semplice, quanto toccante, per ringraziare le Donne e gli Uomini che si sono tanto prodigati per la riuscita dell’evento, la consegna di una targa al capostipite della Famiglia, il Sig. Livio, un omaggio che sottolinea l’affetto per chi, per così tanti anni e con così tanta dedizione, ha mantenuto diritta la barra del timone della Famiglia.
Consumato il pasto, tutti insieme, di nuovo, si mette mano ai volani e con movimenti secchi si accompagna la riaccensione dei motori e via di nuovo, uno in fila all’altro, su quel solco interrotto poco prima, sbandati di lato per completare l’aratura di quel terreno, per rendere quel lembo di Pianura Padana, quel “grembo” fertile pronto ad accogliere nuove sementi che, con infinita cura, daranno nuove messi.
Michela Cossidente
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