Il deserto, il fascino degli spazi infiniti, una traccia GPX da seguire, l’ignoto dietro una duna, la fatica, il caldo, l’amicizia. Storia di un’avventura nel continente africano all’insegna di un sogno, la Dakar, con la voglia di evadere dalla normalità. Tutto in sella a una Yamaha Ténéré 700 World Raid rigorosamente di serie, affrontando prove speciali di navigazioni e tappe di 400 km
Devo riconoscerlo, non me lo aspettavo così impegnativo. Nelle settimane precedenti alla partenza, dedicate alla preparazione di tutto il materiale, alla moto, alla logistica, mi ero fatto un’idea di quello che avrei vissuto. Panorami, chilometri, fuoristrada, un po’ di avventura... insomma, in una parola: “adventouring”. Il problema è che la Gibraltar Race, in questa prima assoluta in terra marocchina, è stato tutto questo, ma elevato al cubo. Una “sei giorni” impegnativa che mi ha colto in contropiede, ma che alla fine ha lasciato ricordi indelebili.
Ma partiamo dai “fondamentali”. Gibraltar Race è il nome di una serie di eventi adventouring organizzati nel corso degli anni in varie parti d’Europa, Italia compresa: alcuni della durata di un fine settimana, altri ben più impegnativi di quindici giorni. La formula è collaudata: si tratta di un viaggio che mischia asfalto e lunghi tratti off-road spezzati da prove speciali di regolarità in cui è fondamentale saper navigare e trovare la rotta giusta per arrivare a destinazione. “Regolarità” significa che la classifica della prova speciale non premia il più veloce: viene dato un tempo ideale per coprire il percorso (nel quale occorre appunto navigare senza istruzioni da un waypoint all’altro), e se si transita sul traguardo prima o dopo il tempo stabilito si accumulano punti di penalità. Quelli che poi fanno la classifica di giornata e generale. Una premessa fondamentale per capire la logica di questo viaggio che permette ai partecipanti di assaporare le sensazioni di un vero rally. Che nel nostro caso specifico sono quelle africane: deserto, dune, piste infinite... in una parola, Dakar. Che poi è il sogno di ogni endurista.
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